Un nuovo articolo di Eleonora Pantò per la rubrica Appunti Selvaggi
Boomer, come sicuramente già saprete, è l’abbreviazione di Baby Boomer e indica la generazione nata fra il 1946 e il 1964 durante il boom economico, ma dal 2019 “ok, boomer” è la frase usata dagli adolescenti in risposta a paternali o lamentele. Il boomer è fuori moda, ha pensieri antiquati, si comporta, parla e veste in modo “cringe”, cioè imbarazzante. Gli adolescenti, nati tra il 1997 e il 2012, invece sono etichettati come GenZ o Zoomer perché cresciuti con i social media e le videocall (Zoom). Tra boomer e zoomer passano altre due generazioni: X e Y, mentre la successiva è alpha, dato che l’alfabeto era finito.
Queste “etichette” sono utilizzate per classificare comportamenti di consumo di beni e servizi, nonché atteggiamenti, propensioni sociali e culturali e sono molto comode come altri stereotipi che ci condizionano più o meno volontariamente. Talvolta si creano divisioni fra le coorti del tutto artificiali, come per la crisi climatica, che vedrebbe i giovani in prima fila e i vecchi colpevolmente disinteressati. Si tratta di una percezione errata, almeno secondo la ricerca “Who cares about climate change” del prof. Bobby Duffy – autore di un libro sulle generazioni, in cui 7 persone su 10 di tutte le generazioni considerano la crisi climatica e la perdita di biodiversità un problema enorme che giustifica cambiamenti significativi nello stile di vita delle persone, senza evidenti differenze tra Boomers (74%) e GenZ (71%). La tensione generazionale è necessaria al cambiamento sociale, ma secondo il prof. Duffy le idee e i comportamenti che fanno riferimento alla generazione di nascita, condizionano solo parzialmente il modo di pensare, a cui vanno aggiunte le conseguenze di eventi/fasi che coinvolgono tutti (es. la guerra, la pandemia, la crisi economica) e gli effetti del proprio personale ciclo di vita.
Fatta questa necessaria precisazione, usiamo le suddette etichette per approfondire il rapporto tra i social media e i giovanissimi.
Ossessionati dai social media
La GenZ è abituata ad avere informazioni immediatamente accessibili e social media onnipresenti. Nel 2008, Facebook arrivava in Italia passando in un anno da 200 mila a 10 milioni di utenti, di cui la maggior parte erano under 30 (fonte Vincos Blog). In poco meno di 5 anni, i giovani hanno abbandonato un luogo dove erano ipercontrollati dai genitori e insegnanti. Se ne sono andati principalmente su Whatsapp, lontano da occhi indiscreti e curiosi per parlare con gli amici e su Instagram, Discord e Tiktok, per confrontarsi con i gruppi di riferimento.
A differenza dei loro fratelli maggiori indicati come “nativi digitali” da Mark Prensky, perché capaci di usare un nuovo linguaggio che non era compreso dagli “immigranti digitali”, i GenZ si sono meritati l’etichetta di “nativi dei dati”: se il nativo digitale, configura i dispositivi, il nativo dei dati si aspetta che si configurino da soli, che anticipino i loro bisogni e che richiedano l’inserimento di pochissimi dati. L’attuale successo delle Intelligenze Artificiali non è casuale. Sono anche definiti “sfuggenti” perché difficili da raggiungere dalla pubblicità poiché usano il web attraverso i social: niente mail o motori di ricerca.
Secondo l’Eurostat, nel 2022 per i giovani usare internet significa usare i social media: creare un profilo utente e pubblicare messaggi o altre attività era una pratica comune per almeno il 70% dei giovani (in Francia), fino al 98% (in Irlanda) e con una media dell’84% per l’UE nel suo insieme. In 18 Stati membri, almeno 9 giovani su 10 hanno utilizzato siti di social networking, mentre altri 6 Stati membri hanno riferito che l’80-89% dei giovani ha partecipato a questo tipo di attività di networking. La partecipazione della popolazione adulta variava dal 44% (in Francia) all’85% (in Danimarca).
Eurostat- Being youth in Europe today digital world
GenZ è “la generazione solitaria”, a causa del molto tempo trascorso online che potrebbe favorire sentimenti di isolamento e depressione, sottraendo tempo alle relazioni significative, e aumentando le possibilità di innescare il meccanismo di confronto/disperazione. Secondo un’indagine del Wall Street Journal, documenti interni del colosso tecnologico Meta denunciano che l’uso di Instagram fa sentire le ragazze a disagio con sé stesse, provocando problemi di salute mentale. Anche se sicuramente esistono problematiche di casi limite, fortunatamente, una ricerca che ha coinvolto 2 milioni di persone tra i 15 e gli 89 anni in 168 Paesi, in un arco di tempo dal 2005 al 2022, svolta dai proff Professor Andrew Przybylski e Matti Vuorre dell’Oxford Internet Institute, non ha trovato prove per sostenere che l’uso di Internet e dei social danneggi la salute mentale.
Social Media Skill per il lavoro
In “Fuoriclasse: Storia naturale del successo”, Malcom Gladwell, analizza una serie di personaggi di successo, da Bill Gates, Oppenheimer e i Beatles e cita più volte la “regola delle 10.000 ore”, una ricerca secondo cui, per diventare fuoriclasse è necessario esercitarsi per almeno diecimila ore in una specifica attività, come sportivi e musicisti. Anche se gli autori hanno contestato il modo in cui Gladwell ha usato i loro risultati nel libro, facendo un’eccessiva semplificazione di concetti complessi, non si può negare che un intenso allenamento aumenti le proprie abilità.
Le ore passate sui social e di conseguenza le abilità acquisite, sono un patrimonio di competenze che possono essere utili nel mondo del lavoro.
Esistono molte storie di successo imprenditoriale legate all’uso dei social media per il marketing, come quella di una piccola banca regionale austriaca e di due dipendenti che suggeriscono al direttore di aprire una pagina Facebook. Il direttore non conosce i social media e non ha intenzione di investire denaro, ma le dipendenti si offrono di occuparsene e di gestire il profilo e un anno dopo la pagina diventa un caso di successo. Ispirandosi a storie come questa, il progetto Businessgoesviral, ha l’obiettivo quello di sostenere giovani nel rafforzare le loro competenze digitali e imprenditoriali, combattendo la disoccupazione, soprattutto per in zone rurali. Il progetto sta sviluppando dei micro corsi online gratuiti con il triplice obiettivo di sostenere le competenze dei giovani e la loro occupabilità, aumentare la visibilità delle piccole imprese in aree rurali e sostenere l’innovazione nelle agenzie formative.
Cosa vorrebbe imparare la GenZ sul Social Media Marketing?
La progettazione della formazione è partita dall’analisi dei bisogni di formazione in tre Paesi: Austria, Croazia e Italia. Attraverso un questionario fornito a circa 300 giovani tra i 16 e i 25 anni, si è fotografato il livello di competenze esistenti per quanto riguarda il social media marketing e l’interesse a temi specifici.
Il campione è risultato composto da circa 65% circa di occupati, il 30% di studenti e 4% non occupati: fra gli occupati il 15% si occupava di marketing e il 42% usava i social media in modo professionale, per lavoro o come creator / influencer.
La metà circa dei rispondenti usava i social media per più di un’ora al giorno sulle seguenti piattaforme: WhatsApp (90%), Instagram (86%), Youtube (73%) e Facebook (69%). Esistono differenze specifiche per Paese: LinkedIn è particolarmente diffuso in Italia (51%), mentre Snapchat è utilizzato più frequentemente in Austria (45%). Rispetto a Croazia e Italia, Twitter e TikTok sono meno diffusi in Austria (6% e 20%).
Sebbene il 27% crei e condivida contenuti sui social media almeno una volta alla settimana, il 60% lo fa solo una volta al mese o meno frequentemente. Mentre l’indagine di Skuola.net (2023) ha rilevato che la GenZ in Italia è principalmente caratterizzata da un uso passivo dei social media, ma secondo l’indagine #businessogoesviral, creano e condividono contenuti sui social media più frequentemente rispetto a Austria e Croazia.
Alla domanda su cosa non si sentono preparati nella gestione professionale dei social media, indicano META Business Suite e Business Manager, l’uso degli analytics e il rispetto delle norme sulla protezione dei dati personali (GDPR). Al contrario, gli intervistati sono relativamente sicuri delle proprie competenze nel creare i giusti gruppi target per il marketing sui social media (solo il 13% ritiene di non essere in grado di farlo).
Gli intervistati vorrebbero apprendere soprattutto social media strategy, (56%), copywriting (50%), produzione di contenuti rilevanti per i corrispondenti gruppi target (47%) e marketing non convenzionale sui social media (46%). Sulla base di queste esigenze, i micro corsi che offriranno anche la possibilità di ottenere certificati digitali (open badge) sono in fase di realizzazione e saranno disponibili dalla primavera del 2024. Il rapporto è liberamente scaricabile dal sito di progetto https://bgv.sirpauls.com/
Eleonora Pantò, 7 dicembre 2023
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