Un nuovo articolo di Eleonora Pantò per la rubrica Appunti Selvaggi
“Cosa succederebbe se non si potesse più accedere alle principali piattaforma digitali americane?.” [1]
Un quesito posto da Kennisnet, la fondazione olandese per l’IT nelle scuole, per invitare le scuole a riflettere su cosa vorrebbero veramente dalle tecnologie educative.
La sovranità digitale europea
Il 16 settembre 2025, la newsletter Mattinale Europeo di David Carretta e Christian Spills, si intitolava “L’inverno della sovranità digitale europea” ed era dedicata ad analizzare le strategie della Commissione Europea nella regolamentazione europea verso i giganti tecnologici americani. Nel discorso sullo stato dell’Unione del 10 settembre 2025, Von der Leyen ha dichiarato “Che si tratti di regolamentazioni ambientali o digitali, siamo noi a stabilire le nostre norme, siamo noi a stabilire le nostre regole. L’Europa deciderà sempre da sé”.
E’ sempre più evidente il ruolo geopolitico delle piattaforme digitali e il loro utilizzo come strumenti di sorveglianza di massa: pensiamo al caso della Microsoft in Israele. L’Europa ha comminato una multa a Google per abuso dominante del settore pubblicitario, che era stata temporaneamente sospesa per il timore di ritorsioni sui dazi. Alla fine la multa di 3 miliardi è arrivata e con essa la dichiarazione di ritorsioni da parte di Trump. L’Europa riuscirà a mettere in atto anche le multe per Apple, Meta ed X e che posizione terrà rispetto all’uso di criptovalute agganciate al dollaro?
A settembre 2025, nell’apposita conferenza per celebrare i progressi svolti nell’attuazione del rapporto sulla competitività europea, Draghi ha riconosciuto quanto (poco) è stato fatto e non ha perso occasione per sottolineare l’inazione europea: “Il nostro modello di crescita sta svanendo. Per tempi straordinari azioni straordinarie”. Tra le sue proposte, una pausa di due anni sull’AI ACT, la legge che regola l’applicazione dell’Intelligenza artificiale, per dare più tempo alle aziende europee di testare i limiti e i rischi, anche in ambito sanitario, consentendo un allentamento sui vincoli della legge sulla privacy per raccogliere più dati. Una proposta che dà seguito la richiesta di 40 aziende europee ma che non è piaciuta a molti, anche alla luce di alcuni tragici fatti di cronaca che coinvolgono minori. Un altro punto chiave della relazione di Draghi, è relativa alle modalità degli appalti pubblici europei, per riservare una quota degli acquisti alle aziende europee, per creare mercato e ridurre la dipendenza europea dalle infrastrutture non – UE.
La vulnerabilità europea
Il rapporto Eurostack – L’Alternativa europea alla sovranità digitale dichiara che “Attualmente, oltre l’80% delle infrastrutture e delle tecnologie digitali europee è importato, creando vulnerabilità sistemiche e ostacolando la capacità di innovazione e autosufficienza della regione. L’iniziativa EuroStack affronta direttamente queste sfide fornendo una strategia globale per rafforzare la competitività dell’Europa, garantire le risorse essenziali e costruire un ecosistema”. Obiettivo di Eurostack è creare una “pila” (stack) di servizi digitali tutta europea proprio per garantire la propria sovranità. L’immagine riportata sotto, è tratta dal citato rapporto e illustra la situazione geopolitica attuale evidenziando quali sono i paesi che hanno la leadership nei vari livelli della pila digitale.

Il rapporto indica i principi a cui si dovrebbe ispirare la “pila europea”, sovranità e sicurezza, piattaforme federate e aperte, dati come bene comune, sostenibilità ambientale e attenzione all’efficienza energetica, normative inclusive a armonizzate. Il rapporto ha anche effettuato una mappatura per identificare le aziende e i network europei che hanno la leadership nei diversi livelli della pila: non stupisce che Germania e Francia abbiano il maggior numero di aziende nell’elenco, frutto anche di politiche nazionali che hanno sostenuto le aziende open source. Tra le tante menzioniamo: Mistral, Hugging Face, OVH Cloud, Alcatel, Orange (Francia), Siemens, SAP, Bosch (Germania), Philips, ASML (Paesi Bassi). In sintesi Eurostack, per raggiungere l’autonomia strategica digitale richiede un investimento di 300 miliardi in dieci anni, partendo da un fondo tecnologico sovrano europeo con una dotazione iniziale di 10 miliardi per lo sviluppo di dimostratori digitali, attraverso un concorso aperto.
Autonomia digitale per le piattaforme didattiche
La tecnologia dà forma alle nostre relazioni e determina il nostro modo di agire anche nello spazio fisico. Nello spazio digitale, tuttavia, i cittadini e i governi non hanno voce in capitolo su come le infrastrutture sono progettate e governate. Le grandi aziende tecnologiche hanno il governo della sfera pubblica digitale: pensiamo alle applicazioni di IA nell’educazione, all’archiviazione dei dati degli studenti, ai vari cruscotti. Le scuole, come altri enti pubblici, non hanno voce nella progettazione e nella gestione delle infrastrutture digitali, poche alternative e spesso alcune scelte precedenti le pongono in condizioni di non poter cambiare fornitore. L’attuale situazione che vede poche aziende gigantesche monopolizzare di fatto il mercato digitale, sta creando qualche preoccupazione e crisi di fiducia dovuta alla mancanza di trasparenza sui dati che ci riguardano, su come sono raccolti e come vengono usati.
Una lettura molto interessante è il report pubblicato a settembre 2025 dallo stato del Colorado (Stati Uniti) dal titolo che è già un programma “Adatte allo scopo? Come le piattaforme digitali commerciali odierne sovvertono gli obiettivi chiave dell’istruzione pubblica” [1].
Il tema del rapporto è la distinzione tra “strumenti” ed “ecosistemi”. Le nuove piattaforme digitali educative non si limitano a fornire servizi ma raccolgono grandi quantità di dati che sono alla base delle loro strategie commerciali – dato che spesso i fornitori hanno interessi economici in mercati diversi.
“La stessa piattaforma che fornisce materiale didattico agli studenti raccoglie anche, ad esempio, i modelli di utilizzo di tali studenti, i dati sulle loro prestazioni e le metriche di coinvolgimento. Tutte queste sono risorse preziose che i proprietari della piattaforma possono sfruttare per migliorare i propri prodotti, rafforzare i propri vantaggi di mercato o monetizzare attraverso la condivisione di dati con terze parti, spesso all’insaputa o senza il consenso degli studenti, delle famiglie o degli educatori. Tali dinamiche distinguono le piattaforme odierne dai tradizionali strumenti tecnologici didattici come le calcolatrici grafiche o i proiettori, che avevano un unico scopo una volta acquistati ed erano chiaramente sotto il controllo delle scuole che li avevano acquistati.”
Il rapporto elenca numerose fonti per corroborare i propri rilievi che indicano che le scuole affrontano sforzi organizzativi e logistici per adottare questi sistemi ma senza evidenze di migliori apprendimenti. Il documento mette a confronto tre piattaforme Google Worskpace, Kahoot! e Zearn sul piano della trasparenza, dei valori (se dichiarati), dell’efficacia pedagogica, della privacy, del consenso delle famiglie. Almeno in Europa gli studenti sono un po’ più tutelati dalle normative sulla privacy dei dati. Il rapporto fornisce anche indicazioni su come le scuole dovrebbero porsi rispetto all’adozione delle tecnologie.
“Per garantire che qualsiasi piattaforma digitale sia adeguata, una scuola deve innanzitutto articolare chiaramente le proprie esigenze, i propri valori e i propri obiettivi. Solo allora una scuola può determinare in modo significativo se una piattaforma digitale supporta o compromette gli scopi della scuola e se tali scopi possano essere raggiunti al meglio con mezzi non digitali. Questo approccio può proteggere i decisori dal marketing incessante e consentire loro di adottare solo quelle piattaforme che supportano i loro obiettivi autodeterminati. I dirigenti scolastici hanno anche bisogno di un sostegno politico di alto livello come protezione contro le conseguenze negative della tecnologia educativa. La politica federale, in particolare, sta attualmente promuovendo in modo imprudente l’intelligenza artificiale (AI) come mezzo per modernizzare l’istruzione e creare una forza lavoro del 21° secolo. Poiché l’AI amplifica gli effetti negativi delle piattaforme tecnologiche educative, le scuole hanno buoni motivi per ritardare e valutare attentamente l’adozione di tali piattaforme.
Queste indicazioni sono in linea con quelle che suggerisce anche Kennisnet in Europa: forse vale davvero la pena di pensare a come vorremmo disegnare il nostro spazio pubblico digitale, partendo dall’educazione.
[1] https://www.kennisnet.nl/trends/aandacht-voor-de-digitale-publieke-ruimte/ Versione tradotta da Google Translate in italiano https://www-kennisnet-nl.translate.goog/trends/aandacht-voor-de-digitale-publieke-ruimte/?_x_tr_sl=nl&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=wapp
[2] Boninger, F. & Nichols, T.P. (2025). Fit for purpose? How today’s commercial digital platforms subvert key goals of public education. Boulder, CO: National Education Policy Center. Consultato [29/9/2925] from http://nepc.colorado.edu/publication/digital-platforms
Eleonora Pantò, 29 settembre 2025
